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Cassazione, il paziente muore perché il medico non ha prescritto l'Ecg: le responsabilità

Medlex Redazione DottNet | 25/01/2021 21:16

Il ragionevole dubbio comporta la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio

Se il medico non riconosce i sintomi dell’infarto e il paziente muore, risponde di omicidio colposo, ma solo se si dimostra che osservando una condotta doverosa il paziente non avrebbe avuto conseguenze. La Corte di Cassazione, Sezione IV penale, con la sentenza 24 novembre-10 dicembre 2020, n. 35058 (clicca qui per scaricare il testo completo), ha stabilito, infatti, che la condotta omissiva del medico può considerarsi causa dell’evento morte, solo se viene dimostrato che, tenendo la condotta doverosa (ad esempio, prescrivendo l’esame necessario), non si sarebbe verificato il decesso del malato.  L'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi, il ragionevole dubbio sulla reale efficacia della condotta del medico “rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo, comporta la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio.

I fatti

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Un uomo, riporta Altalex, lamentava forti dolori alla spalla destra e si recava più volte dal medico. Il sanitario si limitava a prescrivere l'uso di antinfiammatori e antidolorifici, ascrivendo la sintomatologia ad un colpo d’aria. Il dottore conosceva la storia clinica del paziente, i problemi di ipertensione e di colesterolemia, ma non prescriveva alcun controllo specifico. L’uomo moriva per infarto mentre si stava recando al pronto soccorso. Il medico, in primo e secondo grado, veniva condannato per omicidio colposo, a causa della mancata e tempestiva diagnosi della patologia cardiaca. Infatti, dagli accertamenti, era emerso che se fosse stato prescritto un ECG di urgenza, si sarebbe giunti ad un’alta percentuale di sopravvivenza.

La mancata dimostrazione del nesso eziologico

Il medico impugna la sentenza gravata, arrivando in Cassazione, affermando che manchi la dimostrazione del nesso causale; egli censura, altresì, la decisione laddove difetta della menzione della legge scientifica in base alla quale i sintomi sarebbero stati indicatori della patologia cardiaca che ha portato il paziente a morire d'infarto. La Suprema Corte accoglie la doglianza del sanitario, ritenendo che la motivazione dei giudici di merito sia lacunosa. Infatti, essi si sono limitati a definire gravemente colposo il comportamento del medico, ma non hanno acclarato con certezza la sussistenza del nesso causale fra il comportamento colposo per omissione addebitato al sanitario e l'evento morte del paziente. In altre parole, non si è accertato che, tenendo la condotta omessa, l’evento sarebbe stato evitato.

La ricostruzione della sequenza causale che ha portato all’evento

Il giudice deve indagare, nel caso concreto, per accertare che, se il medico avesse compiuto l’azione doverosa, tale azione avrebbe scongiurato l’evento o, quantomeno, lo avrebbe ritardato (Cass. Pen. 43459/2012). Il nesso causale va esaminato alla luce di un giudizio controfattuale. Il mentovato giudizio deve essere condotto sulla base di:

  • una generalizzata regola di esperienza,
  • una legge scientifica universale o statistica.

Quindi, occorre accertare che, se il medico, ad esempio, avesse prescritto l’elettrocardiogramma, l’infarto:

  • non si sarebbe verificato,
  • si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.

La sussistenza del nesso causale, si legge su Altalex, non può ricavarsi automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica. Infatti, il giudicante deve valutare, caso per caso, l’esistenza del nesso eziologico, sulla base delle circostanze del fatto. Inoltre, nel ragionamento probatorio, va esclusa l'interferenza di fattori eziologici alternativi, ossia di circostanze che abbiano interrotto il nesso causale tra la condotta oggetto di scrutinio e l’evento.

La condotta omissiva del medico è la condizione necessaria dell'evento lesivo

«L'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio» (Sez. U. 10.7.2002, Franzese).

Il giudizio controfattuale nel caso di omicidio o lesioni colpose in ambito medico

Nelle fattispecie di omicidio o lesioni colpose in campo medico, il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice con riferimento alla specifica attività richiesta al sanitario, la quale si ritiene idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l'evento lesivo con alto grado di credibilità razionale (Cass. Pen. 30649/2014).

Sussiste, pertanto, il nesso di causalità quando la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l'evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con modalità migliorative, anche sotto il profilo dell'intensità della sintomatologia dolorosa (Cass. Pen. 18573/2013).

Ebbene, nel caso di specie, i giudici non hanno accertato se, nel momento in cui il paziente si era recato dal medico, erano in atto i sintomi premonitori dell’infarto. Nella responsabilità medica, infatti, è necessario accertare il momento iniziale della malattia e la sua possibile evoluzione, altrimenti non è possibile verificare se la condotta dovuta avrebbe evitato l’evento.

Conclusioni

Gli ermellini censurano la motivazione della pronuncia impugnata, giacché essa non applica gli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità in tema di nesso causale; in particolare, con riguardo alla «necessità di corroborare i dati statistici provenienti dalle leggi scientifiche utilizzate, con precisi elementi fattuali, di carattere indiziario, idonei a comprovare, con elevato grado di credibilità razionale, che una tempestiva diagnosi differenziale del medico avrebbe certamente salvato la vita della paziente oppure, l'evento lesivo sarebbe stato ragionevolmente evitato o differito con (umana) certezza» (Cass. Pen. 5901/2019).

Nella fattispecie scrutinata, invece, difetta in toto una motivazione sull’effetto salvifico della condotta omessa, ad esempio, in relazione alla prescrizione dell’elettrocardiogramma. Inoltre, le argomentazioni della sentenza di merito avrebbero dovuto:

  • indicare se il caso concreto fosse regolato da linee-guida o, in mancanza, da buone pratiche clinico-assistenziali;
  • valutare il nesso causale tenendo conto del comportamento salvifico indicato dai predetti parametri;
  • specificare la tipologia di colpa del sanitario (colpa generica o specifica, colpa per imperizia, o per negligenza o imprudenza);
  • appurare se, ed in quale misura, la condotta del sanitario si sia discostata da linee-guida o da buone pratiche clinico-assistenziali.

Al contrario, in sede di merito, sono stati disattesi, con motivazione apodittica, gli argomenti del perito secondo il quale la colpa del medico era lieve, poiché il dolore lamentato dal paziente, solo in percentuali modeste, era riferibile ad una crisi cardiaca. Anche la prescrizione di un ECG poteva non essere risolutiva. In conclusione, la Suprema Corte annulla la sentenza con rinvio alla Corte di appello al fine di affrontare compiutamente i temi del nesso di causalità e della colpa omissiva del medico, secondo i principi di diritto indicati.

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